Sempre più frequentemente, i datori di lavoro avvertono la necessità di blindare il contratto con un nuovo collaboratore attraverso un patto di non concorreza. Tale istituto, una volta cessato il rapporto di lavoro, dovrebbe inibire all’ex dipendente lo svolgimento di attività in concorrenza con quella propria del contratto appena concluso.
E’ uno strumento interessante, tuttavia capita spesso di rilevare nei patti di non concorrenza – quand’anche inseriti nel contratto – elementi di criticità che di fatto ne eslcudono la reale efficacia.
Uno degli aspetti più delicati della questione riguarda la determinazione del corrispettivo da riconoscere al collaboratore, in vigenza di rapporto, per poter validamente opporgli il divieto di concorrenza alla fine del contratto: se tale remunerazione non è adeguata, ben individuata e scissa dalla normale retribuzione, il rischio è che il patto venga ritenuto nullo.
Ed in quel caso, viene meno tutta la tutela per l’azienda.
Anche il momento dell’effettivo pagamento, costituisce un fattore discriminante: riconoscerlo mensilmente oppure a fine rapporto non è solo una scelta formale, ma ha conseguenze fiscali, contributive e una differente incidenza sul costo del lavoro.
In un approfondimento, abbiamo provato a mettere in fila gli aspetti chiave:
– cosa rende valido un patto;
– come stabilire un compenso congruo;
– quali sono gli effetti operativi sul cedolino;
– come cambia il trattamento fiscale a seconda del momento in cui si paga.
Criteri di validità, corrispettivo e implicazioni sul cedolino paga
In un mercato sempre più competitivo e interconnesso, la tutela degli asset immateriali delle imprese – know-how, relazioni commerciali, strategie – passa anche attraverso strumenti giuridici come il patto di non concorrenza.
Questo istituto, disciplinato dall’art. 2125 del Codice Civile, consente al datore di lavoro di limitare, in modo temporaneo e mirato, l’attività del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro. A condizione, però, che siano rispettati precisi criteri di forma, contenuto e congruità del corrispettivo.
Vediamo in dettaglio quali sono i requisiti di validità, come si determina il compenso e quali sono gli effetti sul piano fiscale, contributivo e gestionale del cedolino.
Requisiti essenziali di validità del patto
Per essere valido, il patto di non concorrenza deve rispettare tre condizioni fondamentali:
1 Forma scritta;
2 Previsione di un corrispettivo;
3 Limitazioni ragionevoli per oggetto, tempo e luogo.
In assenza anche solo di uno di questi elementi, il patto è nullo.
Come determinare il corrispettivo
Secondo giurisprudenza consolidata, il corrispettivo deve essere congruo, determinato o almeno determinabile, ai sensi dell’art. 1346 c.c.
Il compenso deve rappresentare un vantaggio economico effettivo, proporzionato al vincolo imposto al lavoratore.
Le modalità più comuni per definirlo:
• Cifra fissa (es. 30.000 € una tantum)
• Versamento rateale (mensile o annuale, anche con adeguamento finale)
• Percentuale della RAL (es. 15% della retribuzione annua lorda)
Attenzione: è illegittimo il patto che preveda genericamente il compenso nella normale retribuzione senza specificarlo a parte.
Sentenza Cassazione 9258/2025: autonomia del patto
Con la recente sentenza n. 9258 dell’8 aprile 2025, la Cassazione ha chiarito che il patto di non concorrenza, anche se firmato all’assunzione, è autonomo rispetto al contratto di lavoro, e il compenso pattuito deve rispettare solo i requisiti generali dell’art. 1346 c.c.
È quindi confermato che:
• Il compenso può essere erogato in costanza di rapporto o dopo la cessazione
• Il pagamento non deve necessariamente avvenire al termine del rapporto
• L’obbligo retributivo è distinto dalla normale retribuzione
Impatti sul cedolino paga e sui costi del lavoro
La tempistica dell’erogazione del compenso incide sensibilmente sul trattamento fiscale e contributivo.
Di seguito, una sintesi dei tre principali scenari:
1. Pagamento in costanza di rapporto (es. mensile)
• Rileva ai fini fiscali e contributivi come retribuzione ordinaria
• Incide su: ferie, permessi, mensilità aggiuntive, TFR
• Rientra nel costo del lavoro continuativo
2. Pagamento post-cessazione
• Sottoposto a tassazione separata per il lavoratore
• Rileva come retribuzione differita ma non incide su ferie, TFR o mensilità aggiuntive
• Sono dovuti contributi INPS
3. Patto firmato dopo la cessazione del rapporto
• Nessun obbligo contributivo
• Trattamento fiscale come “redditi diversi” (art. 67, co. 1, lett. l), TUIR)
• Ritenuta d’acconto del 20%
Conclusioni operative
Il patto di non concorrenza è uno strumento strategico, ma la sua efficacia è legata al rigore con cui viene redatto, alla correttezza dei parametri economici scelti e alla gestione coerente in busta paga.
Suggeriamo sempre di:
• Individuare con precisione l’ambito del divieto (territoriale, settoriale, temporale).
• Determinare il compenso con criteri chiari, proporzionati e documentabili.
• Valutare attentamente le implicazioni fiscali e contributive nella fase esecutiva.
Lo Studio è a disposizione per supportare aziende e HR nella redazione, verifica e gestione operativa dei patti di non concorrenza, per garantire la piena conformità normativa e la tutela degli interessi aziendali.