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Assenza ingiustificata equiparata alle dimissioni: nessun diritto alla NASPI

Negli ultimi anni si è assistito sempre più spesso a licenziamenti per Giusta Causa per assenza ingiustificata del lavoratore , che in qualche modo sono apparsi frutto di un accordo tra le parti.

Una recente sentenza del Tribunale di Udine censura tale pratica: assentarsi dal lavoro senza fornire alcuna giustificazione, per indurre la parte datoriale ad adottare il licenziamento per assenza ingiustificata, configura un abuso illegittimo ed una elusione della normativa in tema di sussidi previdenziali (NASPI)

Al fine di evitare tali abusi, nel comportamento assunto dal prestatore (abbandono del posto di lavoro) è stata ravvisata la risoluzione di fatto del rapporto e ciò a prescindere dal rispetto delle procedure telematiche di cui all’articolo 26, del Dlgs 151/2015 (comunicazione telematica delle dimissioni); in tale comportamento, infatti, il Giudice ha ritenuto prevalente la sintomatica manifestazione della volontà di non dare più seguito al contratto di lavoro.

Si tratta – in pratica – di atteggiamenti i quali lasciano presumere che l’intento perseguito sia quello di conseguire illegittimamente l’indennità Naspi, riconosciuta nella sola ipotesi di disoccupazione involontaria e che, pertanto, non viene corrisposta laddove la disoccupazione non sia tale.
Si ricorda che la normativa sulla formalizzazione delle dimissioni, prevede oggi che le dimissioni stesse, nonché la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, debbano essere effettuate, a pena di inefficacia, con modalità esclusivamente telematiche (articolo 26, Dlgs 151/2015).

Nonostante il Legislatore abbia tenuto conto della «necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore ( dimissioni telematiche o risoluzione consensuale ) con la sentenza di cui trattasi si rafforza la possibilità di affermare la sussistenza delle dimissioni di fatto. Paradossalmente, una diversa interpretazione imporrebbe al datore di farsi carico dei rischi di un licenziamento che potrebbe comportare un eventuale giudizio in caso di impugnazione da parte del lavoratore, nonché dei costi riferiti al ticket licenziamento.

In tale circostanza, invero, ciò che rileva è la carenza di volontà del lavoratore di proseguire nel rapporto di lavoro.

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