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ALLATTAMENTO A RISCHIO

Esistono dei lavori che possono compromettere la salute della mamma e la bontà del latte materno e sono quelli in cui la donna può venire a contatto con agenti pericolosi oppure con molte persone che possono essere veicolo di malattie infettive o attuare comportamenti rischiosi.

Per alcune mamme poi, le ore passate in ufficio o in un qualsiasi altro posto di lavoro possono rappresentare un ostacolo alla possibilità di allattare il proprio bambino ogni qual volta che lo stesso lo richieda, influendo negativamente sul così detto allattamento a richiesta.

A ciò va ad aggiungersi che considerati i mutamenti della pressione sanguigna che si possono verificare durante e dopo la gravidanza ed il parto, a volte le normali pause di lavoro riconosciute alle lavoratrici possono non essere adatte per coloro che allattano il proprio bambino.

Proprio per questo la misura dell’allattamento a rischio rappresenta un modo per soddisfare le esigenze del neonato ed al contempo per assicurare alla madre che allatta di condurre una vita sana laddove la mansione svolta può in qualche modo turbare la qualità del suo latte arrecando danni al bambino.

L’allattamento a rischio e i diversi settori lavorativi

settori lavorativi che possono rappresentare dei fattori di rischio per le neo mamme, influendo negativamente sull’allattamento sono:

  • il settore industriale;
  • il settore della sanità;
  • il settore della ristorazione e commercio alimentare;
  • il settore dell’agricoltura;
  • il settore estetico e parrucchiere;
  • il settore alberghiero e domestico;
  • il settore scolastico.

I fattori di rischio

In questi settori infatti, le lavoratrici possono venire a contatto con:

  • agenti fisici:si pensi alle lavoratrici che si trovano esposte a radiazioni ionizzanti, nello specifico a 1 millisievert all’anno, lavorando quali tecniche di laboratorio radiologico o come radiologhe oppure alle lavoratrici che subiscono rumori molto forti, sopra i 90 decibel, o ancora a quelle che subiscono sollecitazioni termiche, lavorando in cucine troppo calde o in celle frigorifere. Altra ipotesi poi, è rappresentata dalle lavoratrici che sono sottoposte a vibrazioni negli arti superiori o su tutto il corpo lavorando ad esempio sulle navi, sui treni e su altri mezzi di trasporto in moto;
  • agenti biologici:è questo il caso delle lavoratrici che lavorano nei reparti per malattie infettive, mentali o nervose o delle lavoratrici che si occupano dell’allevamento e della cura del bestiame ed anche di quelle che sono impiegate nel settore della scuola, laddove possono venire a contatto con malattie infettive quali varicella e rosolia trasmesse dagli alunni;
  • agenti chimici: si veda il caso delle lavoratrici che sono obbligate al contatto con vernici, gas, polveri, fumi, mercurio e derivati, pesticidi, sostanze tossiche, corrosive, esplosive ed infiammabili poiché lavorano nel settore agricolo o in industrie chimiche o anche le estetiste o le parrucchiere che utilizzano prodotti chimici, ecc.

Esiste poi, una quarta classe di lavori considerati rischiosi nella quale sono da ricomprendere quelle attività dove è previsto un sforzo fisico considerevole o delle posture prolungate o ancora l’utilizzo di scale o impalcature.

Si pensi alle lavoratrici del settore alberghiero e domestico, alle operatrici sanitarie (infermiere e dottoresse) o alle parrucchiere ed estetiste che trascorro molte ore in piedi o anche alle insegnanti che possono assumere dei carichi posturali scorretti e prolungati nel tempo.

La tutela prevista per l’allattamento a rischio
Nel caso degli agenti fisici la tutela prevista per l’allattamento a rischio è di sette mesi dopo il parto così come l’astensione è pari a sette mesi nell’ipotesi in cui il fattore di rischio sia rappresentato dagli agenti biologici e dagli agenti chimici.

Nel caso delle lavoratrici sottoposte a vibrazioni (come quelle che lavorano sui mezzi di trasporto), l’allattamento a rischio è tutelato per i primi tre mesi dopo il parto.

L’allattamento a rischio e i lavori notturni
Nel caso di lavoro notturno (dalle 24 alle 6), chi allatta può essere esentata fino a un anno dopo il parto, fino a 3 anni su richiesta e fino a 12 anni se è una mamma single.

Come si presenta la domanda per l’allattamento a rischio
Entro 30 giorni dal parto la neo mamma deve presentare al proprio datore di lavoro il certificato di nascita del bambino.

Successivamente, per i primi tre mesi dopo il parto, la lavoratrice fruirà del normale congedo di maternità, che potrà prolungarsi fino a quattro mesi se la stessa ha scelto di lavorare fino all’ottavo mese di gravidanza, in modo da avere un mese di maternità prima del parto e 4 mesi dopo.

Gli obblighi del datore di lavoro nei confronti della mamma che allatta
Al rientro della lavoratrice dalla maternità il datore di lavoro deve valutare se ci sono rischi per l’allattamento nel rispetto delle linee guida elaborate dalla Commissione dell’Unione Europea.

Deve valutare cioè se la mansione a cui la lavoratrice è normalmente assegnata è compatibile con l’allattamento oppure se i suoi compiti rischiano di recare pregiudizio o possono essere nocivi per la sua salute. In tal caso adotta le misure necessarie affinché il problema venga risolto.

Se la neo mamma potrebbe trovarsi esposta ad uno dei rischi di cui abbiamo già parlato, allora deve essere assegnata ad una mansione diversa e non a rischio fino ai 7 mesi di vita del bambino.

Ad esempio un’insegnante potrebbe essere spostata di classe e impiegata in biblioteca qualora la consueta attività lavorativa la costringa a uno sforzo fisico notevole o a una postura scorretta o all’esposizione a malattie infettive stando a stretto contatto con i bambini.

Qualora invece, non fosse possibile assegnare una mansione diversa alla neomamma, alla stessa spetta l’astensione dal lavoro fino al settimo mese.

In questo caso la lavoratrice deve presentare una comunicazione scritta all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente che provvederà all’interdizione dal lavoro.

Il relativo modulo è scaricabile sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Ispettorato Nazionale del Lavoro.

La retribuzione durante l’allattamento a rischio
La retribuzione che viene corrisposta alla lavoratrice che ha presentato istanza per l’allattamento a rischio, è pari al 100%, in quanto si tratta di un’astensione obbligatoria.

Detta retribuzione viene anticipata dal datore di lavoro che a sua volta verrà rimborsato dall’Inps.

A chi e come deve essere formulata la domanda per l’allattamento a rischio
La richiesta di interdizione post partum dal lavoro per la lavoratrice madre addetta a lavori vietati o pregiudizievoli per la salute della donna e del bambino, in altre parole l’istanza per l’allattamento a rischio, A CURA DEL DATORE DI LAVORO deve essere indirizzata all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente per il luogo in cui la lavoratrice svolge la propria attività .

Nella stessa istanza devono essere riportati i dati anagrafici della lavoratrice (nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza, via/piazza, numero civico, telefono, e-mail e codice fiscale), l’indicazione della ditta/società/amministrazione dove la stessa è occupata e della relativa sede (comune, provincia, cap, via, numero civico, telefono, fax, e-mail) nonché di quella del luogo di lavoro effettivo (comune, provincia, cap, via e numero civico).

A seguire va indicato il settore nel quale la lavoratrice è impiegata, se privato o pubblico, il suo contratto, se a tempo indeterminato o determinato con l’eventuale scadenza, o altro contratto, la qualifica della lavoratrice (se operaia, impiegata, quadro o dirigente), il tipo di contratto se a tempo pieno (con l’orario di lavoro e dei giorni settimanali), senza o con turni o ancora se a tempo parziale con la relativa specificazione dei giorni/periodi e l’orario di lavoro.

Poi, va inserita l’indicazione relativa all’eventuale periodo di assenza dovuta a malattie o ferie.

Quindi, deve essere riportata la richiesta relativa all’interdizione dal lavoro fino al 7° mese dal parto con l’indicazione della data in cui questo è avvenuto.

Segue l’elencazione dei documenti allegati alla domanda che consistono più precisamente nel:

  • certificato di nascita del figlio o autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000;
  • dichiarazione del datore di lavoro con l’indicazione della mansione o il lavoro vietati cui è adibita la lavoratrice e con la precisazione dell’impossibilità di adibirla ad altre mansioni sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione dell’azienda.

Nel’istanza la lavoratrice inoltre, deve dichiarare di avere presentato al proprio datore di lavoro il certificato medico di nascita e la data di presentazione dello stesso.

La domanda si conclude con l’informativa sulla privacy, in cui la lavoratrice dichiara di essere stata informata, ai sensi e per gli effetti del Regolamento (UE) 2016/679 [1], che l’Ispettorato tratterà i dati necessari alla gestione dell’istanza con le modalità prescritte per il trattamento dei dati personali.

La richiesta va quindi, datata e firmata dalla lavoratrice

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