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Quando l’amministratore può essere anche dipendente

La possibilità per un lavoratore di ricoprire sia il ruolo di amministratore sia di dipendente della medesima società rappresenta un tema critico, in quanto il disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato può rendere invalida la contribuzione previdenziale nonchÊ esporre a sanzioni INPS.

In un rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore è soggetto alla direzione e dipende dalle istruzioni impartite dal datore di lavoro.

La normativa civilistica definisce prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, in base a quanto
stabilito dall’art. 2094 c.c..
La richiamata disposizione, dunque, individua il rapporto di lavoro dipendente facendo riferimento alla retribuzione, contropartita del lavoro svolto, nonché alla modalità con cui l’attività lavorativa va prestata, ossia alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. In ambito societario la gestione dell’impresa, quindi la funzione imprenditoriale, è svolta dal consiglio di amministrazione o dall’amministratore unico, che la esercita in maniera discrezionale.

Il fatto che l’attività imprenditoriale venga svolta dal consiglio di amministrazione, in maniera discrezionale, fa sorgere dubbi interpretativi circa la possibilità che un soggetto facente parte del consiglio di amministrazione possa, contemporaneamente, essere dipendente della stessa società, in quanto potrebbe mancare il requisito della subordinazione, ossia la direzione esercitata sul dipendente dall’imprenditore.

In altri termini, semplificando, non risulta immediatamente possibile per un imprenditore, coincidente con l’organo amministrativo nelle società, subordinare se stesso.
La richiamata regola presenta margini per ritenere valido il contemporaneo svolgimento di un rapporto di lavoro dipendente con il ruolo di amministratore della stessa societĂ , in presenza di talune condizioni.

La teoria prevalente, sia in dottrina sia in giurisprudenza considera legittimo il cumulo, in capo alla medesima persona, di un rapporto di lavoro dipendente e di un mandato per lo svolgimento del ruolo di amministratore in un consiglio di amministrazione, in presenza di determinate condizioni.

Condizioni determinanti la subordinazione

La legittimità del doppio ruolo di amministratore e dipendente, può essere confermata in presenza delle seguenti condizioni:

  1. l’affidamento del potere deliberativo, per la formazione della volontà della società, all’organo collegiale di amministrazione nel suo complesso e/o a un altro organo sociale espressione di una volontà imprenditoriale “esterna”;
  2. la sussistenza di un effettivo vincolo di subordinazione, anche nella forma attenuata del lavoro dirigenziale, con sottoposizione del dipendente (nonostante la sua carica) all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale cui appartiene;
  3. l’effettiva differenziazione delle mansioni svolte in qualità di dipendente dall’attività svolta in virtù del mandato gestorio.

Le richiamate condizioni, per esempio, portano ad escludere la possibilitĂ  per un amministratore unico, oppure al presidente del consiglio di amministrazione, di essere anche dipendente della societĂ .

Riqualificazione e aspetti contributivi

La corretta qualificazione del rapporto di lavoro ha rilevanti implicazioni previdenziali. Il rapporto di lavoro dipendente è assoggettato alla contribuzione INPS ordinaria, mentre il compenso dell’amministratore richiede il versamento alla gestione separata INPS.

Le due gestioni hanno diverse aliquote contributive, nonchĂŠ montanti previdenziali distinti.

Le controversie sorte in tema di riqualificazione del rapporto nascono proprio da contestazioni INPS, in cui viene disconosciuto il rapporto di lavoro dipendente e richiesto il versamento dei contributi previdenziali alla gestione separata.
In caso di errata contribuzione ad una cassa di previdenza rispetto a quella che sarebbe stata competente, i contributi versanti non vengono annullati, ma trasferiti alla cassa di competenza effettiva.

In coincidenza con il trasferimento contributivo può essere accertato un residuo debito, oppure un residuo credito, in relazione alle diverse combinazioni assicurative, che andrà trattato seguendo il principio della prescrizione previdenziale.

La richiamata possibilità di non perdere la contribuzione e di trasferire i contributi da una gestione a un’altra, presuppone l’esistenza del rapporto di lavoro sia pure qualificato erroneamente. Nel caso il versamento indebito avviene in carenza del presupposto assicurativo, l’INPS nel richiamato
messaggio n. 9869, ha precisato che la relativa contribuzione è annullabile senza limite temporale, poiché manca il fondamento assicurativo. In tal caso, se viene accertato il dolo nella costituzione della posizione assicurativa, la contribuzione indebitamente versata non è soggetta a rimborso, mentre in assenza di dolo essa è rimborsabile, a domanda, e, perdendo la sua natura contributiva, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale.

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