Il rimborso chilometrico non è soggetto a tassazione in capo al dipendente, generalmente, in quanto non è classificabile come remunerazione, ma come indennizzo per costi sostenuti dal dipendente per conto dellâimpresa.
Premettendo che per trasferta si intende lo spostamento del dipendente dalla propria abituale sede di lavoro, verso un altro luogo, al fine di svolgere lâattivitĂ lavorativa, è necessario separare lâipotesi in cui il dipendenti effettui la trasferta di lavoro al di fuori del Comune ove è ubicata la sede di lavoro, da quella svolta allâinterno dello stesso Comune:
- nel primo caso è previsto il regime di non imponibilità ;
- nel secondo caso invece lâindennitĂ percepita dal dipendente è soggetta a tassazione.
I liberi professionisti, invece, chiamati a viaggiare per lavoro, per esempio, possono emettere fattura per raggruppare tutti i loro costi di trasferta: dal rimborso chilometrico, concordato con lâazienda cui si fattura sulla base di riscontri tabellari come quelli dellâACI o di un accordo individuale magari anche forfettario, ma anche tutti gli altri costi inerenti al costo vivo della missione. E dunque pedaggi, pranzi, cene, alberghi, pedaggi autostradali, persino gli eventuali imprevisti qualora lâazienda mandataria li riconosca.
Il rimborso chilometrico fondamentalmente è uno solo, e per definizione è una cifra fissa â a volte unâindennitĂ giornaliera a volte una cifra basata su un coefficiente tabellare â che può essere tranquillamente fatturato dal professionista. Ma in tal caso il costo diventa base imponibile delle Imposte e Contributi (IVA, contributi alla Cassa e Ritenuta d’acconto Irpef).